Star Trek Beyond

Stay foolish

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Oggi esce in blu-ray l’ultimo episodio della saga di Star trek.
Oggi lo guardo.
E dico la mia.
Ci provo. Sono combattuto. Si parte malissimo. Pupazzetti orribili in CGI altrettanto orribile popolano i primi cinque minuti. Sono tentato di lanciare il blu-ray dalla finestra e dedicarmi ad altro. Resisto. L’enterprise viene attaccata e frantumata.
Sono passati dieci minuti dall’inizio.
Arriva il “Bad Guy”.
Godo.
Penso che il blu-ray debba assolutamente restare nel lettore e richiudo la finestra.
La riapriro’ virtualmente una decina di volte.
Per poi richiuderla.
Il fatto e’ che per certi aspetti il film è godibilissimo. Ma permane per tutto il tempo l’idea di star guardando un reboot dei “guardiani della galassia” con una spruzzata di “fast and furious”.
Quando finalmente ci si ricongiunge con l’universo trekkiano puntualmente compare qualcosa di disturbante e fuori luogo.
Compare e risparisce subito.
Forse è troppo innovativo per me che sono vecchio.
O forse, siccome sono vecchio, fatico ad accettare certi cambiamenti al plot originale.
Un “pop-corn trek” che si lascia amabilmente guardare, ma che alla fine rimane un po sullo stomaco.
Piacerà a chi cerca azione e effetti speciali. Un po meno a chi ha amato le radici della saga.
Io felicemente mi metto nel mezzo.
Lunga vita e prosperità.

Warcraft: l’inizio

Cosplay ad alto budget

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Qui non c’entra “Il signore degli anelli”. Diciamolo adesso. Subito. Prima che comincino i paragoni.
Che gli orchi mica se li sono inventati lì. Quindi puo’ esistere un concetto di orco diverso da quello di Tolkien prima e di Jackson dopo.
Deve esistere.
Esiste infatti.
C’ha le zanne, le manone, e’ verde acido.
E a volte buono.
Lo dipinge così, “Blizzard”, nel suo “Warcraft” prima, e “World of Warcraft” dopo.
E ne segue fedele la scia il buon Duncan Jones, regista dello splendido “Moon”, e dell’altrettanto splendido “Warcraft: l’inizio”.
Giudicare “Warcraft” come un film fine a se stesso e’ tendenzialmente disonesto.
“Warcraft” e’ prima di tutto un videogioco. Famoso, epico, con una lore altrettanto epica. Il film e’ un omaggio al mondo di Azeroth. Epico pure lui, fedele, coerente, soprattutto corretto.
Questo ci si deve aspettare e questo si ottiene.
“What u see is what u get”. Azeroth, l’alleanza, l’orda, i maghi.
Così e’ scritto.
Così doveva essere fatto.
Così ci piace da matti.
Guardatelo se conoscete il mondo di “Warcraft”: c’è tutto quello che volete che ci sia. Guardatelo anche se “Warcraft” non lo conoscete. Imparerete a conoscerlo e magari ne uscirete contenti.

Attack on Titan

tra manga e videogame

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Prima di dileguarmi verso qualche spiaggetta sperduta, volevo lasciare esile traccia del mio passaggio con un ultimo consiglio per le calde sere estive.
Che se non avete di meglio da fare un bel “filmone jappissimo” con i titani che mangiano le persone, sicuramente si presta ad un cazzeggio delirante e afoso.
Magari con gelato a seguito e aria condizionata.
Io l’ho provato.
Senza gelato.
Il filmone jappissimo si chiama “Attack on titan” e arriva fresco fresco dal resto del mondo (che al solito qui in italia per ora non lo importano).
Il filmone jappissimo ve lo dovete guardare in lingua originale sottotitolato english.
Ne vale la pena.
Benchè Imdb lo releghi ad una quasi sufficienza.
Ne vale la pena , ma se, e solo se, il concetto dei giganti desnudi che mangiano i soldati giapponesi e in qualche caso li rivomitano, in un tripudio di fumi, sangue e bavette varie, vi aggrada.
A me aggrada.
Mi aggrada la storia (tratta da manga a me sconosciuto) di un futuro post apocalittico in cui le città sono circondate da mura altissime per evitare le incursioni dei titani mangia-uomini.
Mi aggrada il tripudio di effetti speciali.
Mi aggradano i faccioni dei giganti, inquietanti come pochi nella loro semplicità.

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Non mi aggrada, per restare in tema, il fatto di dover aspettare l’uscita del secondo ed ultimo episodio.
Perchè la storia intriga, e l’hangover finale lascia con la voglia di continuare per ore la visione.
Pazienza. Ora è tempo di spiagge. Se ne riparlerà in autunno.

Bone Tomahawk

Tanta roba

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“1997 fuga da New York” è uno dei miei film preferiti di sempre. Perché c’è Carpenter e perché c’è Kurt “snake” Russel.
In “Bone Tomahawk” Carpenter non c’è…. (anche se, giuro, in più di un occasione ero convinto che ci fosse il suo zampino) ma c’è Kurt. Tanto basta.
Anzi avanza.
Perché Kurt si fagocita il film con una semplicità impressionante.
Ottimi, direi superlativi comprimari, ma Kurt è davvero troppo granitico…e gli altri, benché in parte, scompaiono.
Parte lento “Bone Tomahawk”, e lento rimane almeno fino agli ultimi deliranti trenta minuti. Lento non significa noioso.
Significa lento.

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E non è detto che sia na brutta cosa.
si costruisce un attesa…. E quando arrivano i botti il godimento e’ totale.
E’ un western “Bone Tomahawk”, un “weird western” con i cowboy, lo sceriffo, e gli indiani cannibali con le maschere, ma a culo nudo.
Gli indiani cannibali sono na roba epica…..di una potenza visiva micidiale e decisamente stronzi.
Che “Green Inferno” in confronto sembra recitato dai muppets.
Cattiveria e gore ultradistillati.
Purissimi.
Il film che mancava…. Guardatelo.

Eden Lake

scontri generazionali

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Così mi capita tra mano e zampa questo “Eden lake”…. la fascetta promette un “rape and revenge”.
Ed effttivamente è un “rape and revenge”.. senza il “rape”…e con poca “revenge”.
Poca-vendetta-poca, per sta poveraccia protagonista a cui capita veramente di tutto.
E questa mia sensazione del poca-vendetta-poca, sta inesorabilmente a significare che il film funziona….eccome.
Ad un certo punto sei talmente immedesimato ed hai accumulato talmente tanta rabbia per le ingiuste sorti della coppia di fidanzati protagonisti che vorresti le teste degli antagonisti su un piatto d’argento. Solo che non va così.
O almeno non abbastanza per i miei gusti. C’è da dire ,a contraltare, che i cattivi sono una baby gang.
E questo complica le cose e fa pensare.
“Complica e fa pensare”…cose buone per un thriller-horror dei giorni nostri passato ingiustamente quasi in sordina…e non si capisce il perchè…anche questo fa pensare.
Il film, se non si è capito, è strepitoso.
Un riuscito mix tra “alta tensione” e “l’ultima casa a sinistra”.
La storia, vista e rivista, dei due ragazzotti innamorati, in picnic sul laghetto romantico, attaccati ingiustamente dai villain della situazione, ha una svolta importante proprio grazie alla scelta anomala sulla figura dei cattivi di turno: una gang di adolescenti bullissimi con famiglia bullissima a seguito.
Finale prevedibile ma comunque angosciante.
Da vedere assolutamente.

Gantz, l’inizio

Mena che ti passa

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Non sia mai che, una volta che i nostri distributori si degnano di portare in Italia, e in italiano, un film jappo controcazzuto, qui sul Cinemanometro non si celebri l’evento.
Che soffriamo la mancanza di prodotti simili, come quella della doccia dopo un mese di maratone.
“Gantz , l’inizio”, ci fa capire, gia’ dal titolo, che si preannuncia almeno un seguito.
Lo capiamo anche dal finale della storia, che, dopo due ore di visione, ci abbandona felicemente a meta’.

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Si parte alla grande, che il culo giapponese della protagonista è sicuramente sintomo di buon auspicio.
Poco altro da dire sulla trama: i protagonisti muoiono subito, nei primi 3 minuti di film, e si ritrovano in una stanza bianca, finemente arredata Ikea, in compagnia di una palla nera.
La palla nera in questione è il Gantz del titolo.
Gantz affida missioni ai morti, che tornano in vita e devono affrontare gli alieni sulla terra.
Armati di tutto punto, i protagonisti morti-redivivi e gli alieni suddetti, si scontrano in combattimenti super-spettacolari e super-gore.

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Se i redivivi vincono guadagnano punti, se perdono muoiono definitivamente. Con i punti, come nella migliore tradizione Conad si vincono premi, tra questi, la possibilità di poter tornare ad una vita normale, slegata dall’ingombrante sferica presenza.
Il film e’ tratto da un manga, che io, non leggendo manga, non conosco.
Dico però che mi sono divertito un sacco.

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I 120 minuti scorrono fluidi, i cattivi sono sostanzialmente tre, e ad ognuno è dedicata una buona mezz’ora di botte.
Il primo combattimento, introduttivo, e’ un pelo sottotono: ci si deve abituare all’orgia di non-sense che spaziano dalla palla nera che sembra impartisca ordini a cazzo, ai nomi dei villain, “alieno-cipolla” in primis.
Col proseguire il non-sense diventa meno sfacciato, ci si abitua al delirio degli sceneggiatori e finalmente la pellicola diventa godibile.
Si finisce con scontri da videogame, una gioia per gli occhi.
Io decisamente straconsiglierei.

Maze runner, la fuga

La conferma

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Bello, bello, bello!
Young-adult che ormai tanto “young” non e’ piu’, con il secondo episodio “Maze runner” si conferma.
No, non decolla…semplicemente rimane in volo, che e’ gia decollato col primo capitolo. Rimane in volo e fa le acrobazie. Quelle belle.
Gia’ il primo era stato una piacevole sorpresa, ora, alla prova della maturità, la saga cresce ancora e si supera, offrendo due ore filate di puro godimento.
Rimangono, e fa piacere, le evidenti connessioni con “Lost”, si aggiungono, e fa piacere, nuove derive, strizzano l’occhio al Carpenter di “Fuga da New York”, o se preferite, al Castellari di “Fuga dal Bronx”.
C’e’ tutto: il post atomico, rappresentato in modo superbo, con le citta’ distrutte e i sobborghi sovrapopolati, ci sono gli zombie, o qualcosa di simile, il deserto, le tende, i tunnel della metro, le facce da culo, l’intrigo, la suspence, il thrilling, l’azione pura e adrenalinica, i combattimenti e, soprattutto, la fuga, che, come da sottotitolo, copre l’arco narrativo delle due ore di pellicola.
Almeno tre le “main location” fortemente caratterizzate, ognuna con sue peculiarità, ognuna con proprie e marcate connotazioni.
E in ognuna si aprono sottotrame intriganti, senza mai perdere di vista la strada maestra. E’ una bella storia, ben raccontata, si scopre a tratti, ma non si svela mai completamente. Dopo quattro ore di film, summa dei primi due episodi, ancora sappiamo troppo poco, ancora siamo curiosi, ancora aspettiamo, con una certa e rinnovata apprensione, l’ultimo capitolo.
E con queste premesse il gran finale fa davvero ben sperare. Guradatelo fiduciosi, e se vi siete persi il primo, oggi piu’ che mai, recuperateli entrambi.

The Green inferno

Don’t believe the hype

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E finalmente anche io ho visto “The green inferno”.
E finalmente anche io posso dire la mia.
Premessa: io impazzisco per il cinema di genere.
Quello bis, exploitation, soprattutto se italico, mi fa sbavare.
Se poi parliamo di cannibal-movies sclero completamente.
Quando penso ai cannibal-movies penso a Lenzi, a Martino, a Franco, ma soprattutto a lui. Ruggerone nazionale.
E quando pensi a questi signori e poi guardi Eli Roth, che tributa opere, immagini e opinioni, ti aspetti, per forza di cose, un lavoro egregio.
Te lo aspetti perché Eli e’ bravo, ti sta simpatico (piu’ come persona/personaggio che come regista) ama l’horror, lo sa fare, ed e’ amico di Deodato.

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E allora poi succede che, come è successo a me, rischi di rimanerci male.
Perché diciamocelo, Green inferno, pur essendo un buon film, non è “quel” film.
Non è quello che ti aspettavi, non è (e nemmeno ci si avvicina lontanamente) quel “Cannibal holocaust” moderno che tutti volevamo che fosse.
Eli d’altronde l’aveva detto in tempi non sospetti, che il suo film, non sarebbe stato un riadattamento del piu’ famigerato Holocaust. Ma tu, che sei romantico e sognatore, un pochino ci speravi lo stesso.
Diciamocelo: la confezione e’ sontuosa, le riprese pure, l’amazzonia fa la sua porca figura, e i cannibali pitturati di rosso, dispersi nel verde più verde, sono una trovata da Artista. Con la A maiuscola.
Ma tolto questo, tolte le immagini stupende, tolta l’innegabile crescita del regista, e tolto (soprattutto) l’immenso hype a cui Roth ci ha abituato, rimane in sottofondo il pensierino triste di aver (in parte) sprecato un occasione gustosissima.
Alla faccia dei cannibali.

Specialino: Fantaculti in bianco e nero

mi raccomando la “T” in fantaculTi…

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In queste settimane ho dato fondo alla mia riserva di dvd anni 50, fantascienza silver screen, in bianco e nero, con i mostri di gomma e non solo.
Sono a raccomandare un po di perle visionate di recente, da guardare rigorosamente prima di addormentarsi, per un calda calda buonanotte, dai tempi compassati e con audio basso, per godere, sonnecchiosi, del doppiaggio d’epoca.
Ne seguiranno altre, che in sto periodo, mi gira così. Intanto godetevi questi.

Il mostro magnetico:

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Tempi andati, pochi effetti speciali, poco mostro (poco piu’ che un fascio di luce, che ci si divertiva con poco. Il nostro Antonio Margheriti fece qualcosa di simile, in tempi vicini, con “i diafanoidi vengono da Marte”, per la collana Gamma Uno).
Storia lenta e spassionata, divertenti le indagini a suon di contatore Giger, per scoprire cosa si cela dietro al magnetismo che al Mostro (magnetico appunto) piace tanto.
Martelli che volano e attrezzi vari che si spostano nell’aere. Epico.

X contro il centro atomico:

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Roba di Hammer, in originale “X the unknown”. Doveva essere l’ennesimo episodio del mai troppo lodato “Dottor Quatermass”, ma in produzione ci si incasina un po’ e quindi via libera al nuovo titolo e al nuovo professore che “Quatermass” non è.
Il filmone fa il verso a “Blob”, il mostro, che si staglia contro il centro atomico, come da titolo nostrano, è una fanghiglia nera come la pece, che brucia a distanza ravvicinata una pletora di malcapitati.
Effettoni d’epoca e qualche escursione nello splatter del tempo. Mitico

Madra il terrore di londra:

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L’alieno, che arriva da Ganimede su una palletta di plastica argentata, in realtà si chiama Medra. Tradotto in “Madra” dai nostri marketing specialists del tempo che fu, una volta tanto con buon senso…..che in italiano medra è l’anagramma di un’altra parola che fa poca fantascienza e molto metano.
Piu’ thriller d’essai che fantascienza, l’alieno si vede poco e male, ma la storia acchiappa.
Lui accatta ragazzotte volenterose che posano per “Bikini Magazine”, e se le porta sul suo pianeta… lo scopo? Non si sa, nessuno lo dice, ma vista la prestanza delle signorine ci possiamo fare qualche idea. Raccomandato.

Per la cronaca, i titoli si trovano felicemente in Dvd italico grazie alla mai troppo lodata “Sinister film”.
Come sempre, da gustarsi solo qualora siate fan della fantascienza di livello, e d’annata.
Per tutti gli altri c’è sempre Sanremo.

Meat ball machine

Sono drogato di Giappone splatter e non riesco a smettere

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Ok lo ammetto, l’inizio e’ stato difficile anche per me che adoro il nippo-gore-splatter. Ci vogliono almeno venti minutini buoni buoni per iniziare a vedere qualcosa di efficace.
E in quei venti minutini iniziali il percorso e’ lento e tortuoso.
D’altronde si tratta di raccontare una storia di parassiti alieni che si infilano nei corpi umani ospiti, si accoppiano carnalmente con il cervello dei malcapitati, li mutano aggiungendo armamenti improbabili a braccia e gambe, poi li guidano assumendone il controllo mentale e li fanno combattere tra loro.
Il vincitore prende tutto, si mangia il corpo dell avversario e l’alieno parassita-pilota e’ felice.
Detta cosi’ (di meglio non riesco a fare) potrebbe sembrare una stronzata. Ed effettivamente un po stronzata lo e’.
Pero’ c’e’ il mio adorato Yoshihiro Nishimura agli effetti speciali (no, non alla regia, ma vista l’astinenza forzata dell’ ultimo periodo, gia’ vedere il suo nome nei titoli di testa mi gasa come una faina) e siccome sono obiettivo lo promuovo.
Meritano almeno un paio di scene tostissime, i costumi dei necro-borgs al limite del surreale, e le solite fontane di sangue e frattaglie ad imbrattare schermo e attori. Potenza visiva a tutto spiano.

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Mi e’ rimasto di brutto, anche a visione terminata. Retrogusti giapponesi che come il wasabi faticano ad andarsene. Bello. Mucho gusto. Ma solo per quelli matti come me che apprezzano il genere “tokyo gore police“, “robogeisha” et similia. A tutti gli altri un caloroso statene alla larga.

FINALMENTE: Star Wars, il risveglio della Forza

ricomincio da tre

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Succede che George Lucas, ha creato qualcosa.
E quel “qualcosa” è molto piu’ grande di lui.
Quel “qualcosa” è ormai diventato proprietà dell’umanità, e l’umanita’ (non tutta certo, ma una buona parte) si incazza con George, quando egli per primo osa deturpare la sua creatura.
Perchè quella creatura ormai è anche nostra.
E gli vogliamo bene.
Io in primis, che per me Guerre Stellari inizia da episodio 4 e finisce col 6 (fino a ieri, oggi finisce, o meglio continua con il 7).
Chiamatemi pure nostalgico, ottuso, o semplicemente inguaribile romantico, ma io rimango legato alla trilogia originale.
Alle ortiche quindi quell’immane cazzata che è la ex-nuova trilogia di Star wars.
Alle ortiche, di filata, i primi 3 episodi, “la minaccia fantasma”, “l’attacco dei cloni” e “la vendetta dei Sith”, alle ortiche i midichlorian, jar-jar, e tutti i pupazzetti in CGI che hanno rovinato, indelebilmente, il nostro ricordo di Guerre stellari.
Alle ortiche anche Anakin marmocchio, le città disegnate col computer, Yoda che salta come un epilettico, i droidi imperiali con la faccia da capra.
“ROGER-ROGER”.
Salviamo solo il salavbile.
Il conte, Darth maul, il pianeta Kamino, Palpatine e la moto di Greviuos.
Il resto è fuffa da cancellare.
Ci voleva J.J. Abrams, con la gomma e la matita nuova, per ridare a Star wars lo splendore perduto.
Ci volevano una protagonista credibile, un degno erede di c1-p8 e un cattivo con i contro cazzi.
E, diciamocelo, l’operazione è perfettamente riuscita.
Non vado mai al cinema, ho fatto lo strappone, e l’ho fatto solo per Star Wars.
Non recensisco i film visti al cinema, io mangio solo dvd, ma faccio uno strappino, e lo faccio per Star Wars.
Si’, uno strappino, perchè questa NON è una recensione, e del Film non voglio e non devo parlare.
Parlerà lui per tutti.
Per tutti quelli che lo andranno a vedere, e per tutti quelli che non ci andranno.
Anche a loro arriveranno gli echi della galassia lontana lontana, che per fortuna, oggi, è molto piu’ vicina.
Bruciate i prequel, purificatevi, e godetevi “Il risveglio della forza.”
Dio benedica J.J.

Il cinema di Neanderthal

Uomini primitivi, donne delle caverne e clave di gomma

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Per la serie “si stava meglio quando si stava peggio”, opto per una brevissima incursione nei tempi che furono e mi flagello sorridente con due pellicole coraggiose per coraggiosi. Uomini primitivi, clave, caverne, parrucconi posticci e costumini pelosi in salsa Hammer film.

Creatures the world forgot (la lotta del sesso sei milioni di anni fa)

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Curioso il fatto che SinisterFilm, distributore del Dvd, ad inizio visione ci segnala che il film comprende scene tagliate non doppiate in italiano e quindi in lingua originale sottotitolate.
Lingua originale??? In quest’opera di mesozoica memoria gli attori emettono solo grugniti per tutta l’ora e mezza di durata della pellicola.
Altro che audio italiano. Qui si va a gesti e “huga-huu-argh-muuu”.
Ed e’ bellissimo cosi’, se ci aggiungete una birretta forte, c’e’ di che godere…che grugniti a parte assistiamo ad almeno una decina di scene memorabili. Prima tra tutte quella che ci presenta i protagonisti da gggiovani con due parrucconi impolverati che quando li vedi non ce la fai. Devi aggrapparti al divano.

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Come da prefazione, la pellicola e’ roba buona, buonissima, prodotta da Hammer. In originale titola “Creatures the world forgot” ma in italica penisola decidiamo per un sobrio e ponderato “la lotta del sesso sei milioni di anni fa” . Lotte poche e sesso nullo.
Pero’ ci sono qualche ottima tetta e una trama, da ricostruire tra un grugnito e l’altro, che racconta adolescenza e maturita’ di due ragazzotti di neanderthal, alle prese con i problemucci della quotidianita’ preistorica.

When dinosaurs ruled the earth (quando i dinosauri si mordevano la coda)

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Si rimane in tema con la seconda perla, “When dinosaurs ruled the earth” che per il gioco crudele di un destino beffardo abbiamo tradotto con l’idilliaco “Quando i dinosauri si mordevano la coda”.
Non paghi dello scempio fatto con il titolo, gli uomini del marketing italiota osano oltre e si inventano un doppiaggio italiano che aggiunge ai soliti “hurgh-argh-hu-huu” degli uomini preistorici protagonisti, un terribile commento idiota alla “beavis and butthead”. Il mio consiglio e’ quello di goderselo in lingua originale. Come per il precedente “la lotta del sesso sei milioni di anni fa” non esistono dialoghi, ma almeno eliminate il commento cretino aggiunto in italiano in post produzione.

In questo secondo hammer film gli effetti speciali si sprecano, dinosauri improbabili animati passo-uno si susseguono per lo schermo, oltre alle solite tette giurassiche ci sono pterodattili, granchi giganti, triceratopi, varie ed eventuali.

Conclusioni a caldo

Se NON siete fan di Hammer film leggete qui:
So di essere discutibile ma io tutte le volte che mi ritrovo tra le mani roba di questo genere mi diverto come un matto. E puntualmente ci ritrovo anche indubbie qualita’. Ma come tutte le volte non prendete questo post come un invito alla visione perche’, giuro, non lo e’. Non per tutti almeno.
Semplicemente, e con molta meno fantasia, vogliate considerare le pellicole in questione come ottimi surrogati al peyote se avete l’ardire di desiderare una serata diversa.

Se (come me) adorate i prodotti Hammer leggete qui:
Per niente al mondo dovreste farvi scappare cotanta folle bellezza… Che tra l’altro, nella collana prehistorical, conta altre due perle, “One million years B.C.” e “Prehistorical women”. Qui non recensite ma altrettanto esuberanti. Buona vita.

Wolf creek 2

L’australia che conta

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No, che poi succede che ti guardi “Wolf creek 2”. Lo guardi perchè tra i blogger che ti piacciono, tanti ne parlano bene.
Poi succede anche che ti ci diverti un casino.
Perchè è bello questo Wolf creek 2.
E non si vergogna, ma anzi, si vanta, di citare tutti i film di genere.
Penso che sia un bel tributo agli slahser prima maniera, ma anche a tutto il corollario horrorifico/thriller a cui siamo abituati.
Ci sono le musiche da Arancia meccanica, gli inseguimenti alla Duel, le torture di Hostel, la follia di Texas chainsaw massacre, l’ambientazione delle colline hanno gli occhi 2…. (ok ok quest’ultima la sto un po forzando, qui siamo nell’Outback, là siamo in Messico, ma alla fine sempre di deserti si tratta), il tutto condito con la regia, didattica ma terribilmente efficace, di Greg Mc Lean.
Si puo’ contare su un villain che ormai è leggenda. Fagocita il film con una voracità impressionante ed è giustissimo che sia cosi’. Perchè Mick taylor, l’australiano col capellaccio, interpretato dallo stesso John Jarrat del primo episodio, ormai è icona e iconico almeno quanto Jason Vorhees.

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E dire che non lo volevano fare il sequel. Ci hanno impiegato qualche annetto. Alla fine l’hanno fatto. E noi diciamo grazie.
Il sequel per quanto mi riguarda è ancora meglio del primo.
Qui non si teme di mostrare dettagli.
Qui si va avanti col piedone pesante.
Ma qui, sempre qui, ci si sollazza anche con stupidate geniali che spezzano la tensione e strappano sorrisoni.
Anzi si ride proprio. Sfido io a restare impassibili davanti ai canguri che attraversano la strada…guardare per credere.
Tutto il resto è sangue. Ma fatto bene. Non gratuito, no. Solo quando serve. E in un film così serve praticamente sempre.
Buona visione

Vampire girl vs Frankenstein girl

Palati fini

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Sono goloso di caramelle, almeno quanto il mio cane lo e’ di crocchette. Mi piacciono quelle a forma di spicchio, agli agrumi, dure, non ripiene.
Sono triste di quella tristezza da ultima caramella. Ho il pacchetto ormai vuoto e scarto l’ultima prelibatezza. Il gusto e’ meno dolce del solito perché gia’ so che dopo non ne potro’ mangiare più. Sono finite. E’ davvero l’ultima.

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Ho tolto il cellophane al mio ultimo dvd di Nishimura. Non ultimo in senso temporale, ma ultimo pezzo del lotto che acquistai a suo tempo. Rimasto li’ per mesi a fare da baluardo contro il nulla cosmico che mi avrebbe atteso dopo. Contro l’appiattimento globale che avrei dovuto subire dopo. Ecco. Anche l’ultimo muro e’ crollato. Ho visto tutto il vedibile di Nishimura, compreso questo “Vampire girl vs frankenstein girl”, ora dovro’ aspettare il prossimo film, se mai ci sara’, se mai lo fara’.

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E quindi con la lacrimuccia agli occhi, mi godo il sangue finto sul musetto della protagonista, vampira, che danza tra teste tagliate e aorte che spruzzano liquidi di ogni forma e sorta, fuori e dentro lo schermo…tutta rossa la tv, come in un quadro di pollock.

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Non ve ne parlo di “vampire girl vs frankenstein girl”. Sono in vena di adulazioni contorte e non di recensioni. In fondo e’ gia visto pure lui. Non c’e’ niente da dire se non che per me e’ EPICO all’ennesima potenza. Come “tokyo gore police“, come “machine girl”, come “meatball machine”, come “helldriver“, come tutti i film del regista ultragore per eccellenza.

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Se piace il maestro sapete cosa aspettarvi.
Chiudo amaro col retrogusto (amaro pure lui) della mia ultima caramella… Aspettando il prossimo capolavoro, scongiuro le carie imminenti.

13 assassini

o sette samurai, fate voi.

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Io quando penso all’oriente non vedo ne geishe ne sushi.
Io quando penso all’oriente vedo Takashi Miike.
Takashi Miike non è il mio nippo-regista preferito. Mi piace di piu’ Nishimura. Takashi Miike mi piace quando somiglia a Nishimura.
Perchè Miike spesso e volentieri somiglia a Nishimura.
In “Ichi the killer” ad esempio.
Non nei “13 assassini”.
Con i “13 assassini” Miike mi si snatura un po. E dire che all’inizio, con la tipa nuda senza braccia avevo avuto un rantolo di speranzoso barlume.
Ma non va avanti così i “13 assassini”. Dopo 10 minuti iniziali da sballo tra harakiri e nefandezze varie, il film si adagia. Fin troppo a dir la verità.
Siamo ai confini del cinema autoriale… Miike si diverte come un matto a giocare a Sorrentino.
Ci divertiamo un pochino meno noi spettatori, che per la prima ora di girato assistiamo al lento sviluppo della trama.
Giappone feudale, samurai buoni, shogun cattivi.
Poi finalmente si comincia. Senza freno e senza moderazioni di sorta si va avanti per un ulteriore ora tra sguainate di spade, sbudellamenti, trappole, mucche incendiarie e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.
Regia lucida, impassibile, curata. Ma troppa carne al fuoco. Troppa carne. Che nel finale, dopo venti minuti di battaglia all’ultimissimo sangue tra i 13 assassini e duecento cattivi si poteva anche cambiare qualcosa, offrire una variante, o almeno una variabile…invece no.
Si procede così per un ora. Perchè, appunto, i cattivi sono duecento.
E Miike li fa morire tutti, uno per uno, davanti allo schermo.
Credo che “13 assassini” alla fine sia un buon film. Credo anche che “13 assassini” sarebbe tranquillamente potuto durare 40 minuti di meno.
Credo che se “13 assassini” fosse durato meno sarebbe stato un ottimo film.
Credo.